Perchè le persone hanno paura degli animali
Parola allo psicologo psicoterapeuta e alla dottoressa veterinaria esperta in comportamento.
PRIMA PARTE a cura di Luca Urbano Blasetti psicologo e psicoterapeuta. (Al termine inizio seconda parte)
Paure Animali. Due parole che insieme acquistano senso solo se ne rinveniamo l’etimologia. Paura è un termine che deriva da Pavire il verbo latino che rimanda al tastare il terreno per verificare se possa reggere o se sia insidioso, mentre animale è ciò che è pertinente all’Anima e alla psiche. La parola Fobia rimanda anche al dio Fobetore, fratello di Morfeo dio dei sogni. Di Fobetore è la responsabilità di far apparire figure di animali nei sogni e di far venire gli incubi.
Insomma la paura o la fobia per un animale è sempre la manifestazione di un timore e di una timidezza verso la conoscenza della propria anima e della propria psiche. La biodiversità costituisce l’istantanea della psiche nella sua complessità e bellezza. Ma conoscerla e conoscersi è un viaggio pauroso come lo è quello del “cammin di nostra vita”. Avvicinare un animale significa avvicinarsi a se stessi, alle proprie morbidità, istintualità relazionali, erotiche e feroci. La paura per gli animali è il sintomo di una paura dei nostri desideri leciti o meno.
La psicoterapia va nella direzione di un’integrazione di tutti i desideri, noti e meno noti, qualsiasi sia la loro natura. In tal senso spesso questi (i desideri) si presentano nei sogni sotto forma di animali, a indicarci i nostri scopi e le condotte per raggiungerli e non di rado la psicoterapia transita per uno scioglimento delle paure-fobie nei confronti di un certo anima-le. Nella mia esperienza spesso l’animale di cui si ha paura diventa addirittura una guida, non tanto nel senso che a fine terapia si prende un cane un gatto o un serpente in un negozio, quanto che se ne rilevano e fanno propri tutti i significati simbolici connessi.
Inoltre il linguaggio anima-le sfugge al nostro controllo, ci obbliga a registri che non dominiamo e che poggiano non tanto sul pensare ma sul sentire, un sentire empatico a cui gli animali ci invitano. E’ sempre bene fare l’esercizio di mettersi nei panni dell’altro anche se si tratta di un animale.
Nessun trauma è causa sufficiente a generare una fobia, c’è sempre accanto una paura di sapere chi siamo.
Poi c’è la filia, ossia la predilezione per gli animali. Sentiamo spesso dire che sono migliori delle persone. Tale atteggiamento è altrettanto fobico ma nei confronti dell’uomo. Ognuno di noi deve trovare i modi per relazionarsi con gli altri e il superamento di una fobia verso un animale è e deve sempre essere strumento per acquisire la capacità di stare nel mondo, anche sociale, e non di divenire esuli novelli figli di Noè.
Dott. Luca Urbano Blasetti, Psicologo Psicoterapeuta – www.lucaurbanoblasetti.it
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SECONDA PARTE a cura di Chiara Boncompagni, medico veterinario esperto in comportamento
Nella vita professionale ho avuto modo, spesso, di incontrare persone che si erano approcciate all’alterità animale per “sconfiggere la paura” dello stesso. Un tentativo di auto catarsi, di liberazione dei propri limiti… ltrettanto spesso disatteso.
In educazione e riabilitazione cinofila potremmo ascrivere questa modalità spontanea di “terapia” al “flooding”, ossia un vecchio metodo secondo il quale l’esposizione forzata e prolungata ad uno stimolo dovrebbe abituare il cane a questo stimolo.
Ci troviamo così spesso a confondere e parlare in uguale maniera di paura, un’emozione conservativa, e di fobia, uno stato patologico totalmente disfunzionale.
Se la paura dell’animale passa attraverso la sua comprensione, identificazione, riconoscimento della sua identità filogenetica e ontogenetica, della comprensione del suo linguaggio e della sua soggettività, dunque IO in un dialogo per una scoperta dell’ALTRO.
La fobia, al contrario, ci porta ad un lavoro introspettivo ben più profondo, molto spesso non collegato all’oggetto fisico dei nostri timori.
Proprietari di cani e gatti con la paura, persino il terrore, dei cani e dei gatti esistono. Il cane o il gatto infatti sono alterità, sono soggetti coscienti di un’altra esistenza che si incrocia con la nostra e possono apportare un contributo nel piano relazionale con il soggetto. Ma il nostro cane o il nostro gatto, non sono tutti i cani e tutti i gatti. Così come “IL CANE o IL GATTO”, oggetto di fobie, sono invece delle figure mitiche alle quali non potremmo mai avvicinarci se non attraverso noi stessi.
Occorre quindi fare una distinzione. Quando parliamo della paura degli animali, parliamo di un problema di conoscenza dell’altro, di incomunicabilità. In cinofilia parleremmo di “socializzazione”, di “piano prossimale di esperienza”.
Nella società odierna, il progressivo e rapido cambiamento da uno stile di vita rurale e più accomodante nei tempi, ci ha costretto a rinunciare alla comprensione e scoperta della nostra componente animale. C’è una parola per questa componente così radicata in noi: biofilia.
Proprio la biofilia ci rende desiderosi di capire l’animale, di voler passeggiare con il nostro cane, accarezzare il nostro gatto, condividere la vita nel senso biologico del termine.
Tuttavia il rapido mutamento si scontra sovente con questo “innatismo”, che non viene più curato, non si impara a conoscere la natura, non si è più a contatto quotidiano con essa, generando l’incomprensione dell’altro e al tempo stesso curiosità e desiderio di viverlo.
Quest’ambiguità si può facilmente riscontrare in tutte quelle derive relazionali di cui siamo testimoni ogni giorno. Si passa dalla “sterilità cittadina” dove l’animale non è contemplato e dove si annida la paura anche solo di incontrarlo per strada, fino all’animalismo deviante, che antropomorfizza e priva gli animali della loro naturalezza e soggettività.
Il pietismo. Gli estremi si toccano. Entrambe le derive hanno come centro l’uomo e la sua unica ed esclusiva visione.
Se vogliamo davvero superare la paura degli animali dobbiamo trovare un “luogo sicuro”, un punto di incontro per noi e loro, re-imparare a comunicare, a capirli, conoscerli, e rispettarli è il primo passo. Solo così potremmo rimanere animali e vivere umanamente. Solo così potremo empatizzare realmente con l’altro senza terrore, umano o animale.
Dott.ssa Chiara Boncompagni Medico Veterinario esperto in Comportamento, Coadiutore del cane negli Interventi Assistiti dall’Animale, Educatore ed Istruttore cinofilo in formazione.
FB: Medicina comportamentale – Centro Italia.