L’AVVOCATO RISPONDE – Il Lazio dice basta alla detenzione a catena degli animali d’affezione. Se necessario fare segnalazioni
Nuovo appuntamento con la rubrica di Tesori a quattro zampe L’AVVOCATO RISPONDE, a cura dell’avvocatessa Giada Bernardi. Oggi parliamo dell’ultima legge regionale del Lazio che dice basta agli animali tenuti a catena:
Un emendamento alle disposizioni collegate alla legge di stabilità regionale 2021 approvata il 5 agosto 2021 dal Consiglio regionale, apportando una modifica alla legge regionale relativa alla “Tutela degli animali d’affezione e prevenzione del randagismo”, ha introdotto ( e ci sia concesso dire finalmente) anche nel Lazio il divieto di detenere a catena i cani e tutti gli animali d’affezione, prevedendo per i trasgressori una sanzione fino ad € 2.500,00.
Divieto già da tempo vigente in altre Regioni dello Stivale – quali, ad esempio, Campania ( divieto in vigore dal Giugno 2021), Veneto, Puglia, Lombardia, Umbria ed Emilia Romagna (prima Regione che nel 2013 ha vietato la detenzione degli animali a catena) – che dal 5 Agosto vede liberi da catene, corde e/o similari anche i cani laziali e gli altri animali d’affezione. Un passo avanti importante che, auspichiamo, eviterà a molte anime la sofferenza di una vita a catena, pratica che per quanto censurabile e crudele era ancora molto diffusa e che ha determinato una morte atroce di molti animali tra le fiamme degli incendi che proprio questa estate hanno devastato parte dell’Italia. Il Lazio, quindi, dice no alla detenzione a catena dei nostri compagni di vita, disposizione che può essere derogata solo in caso di motivi di salute dell’animale, ovviamente certificati da un veterinario (ad esempio a seguito di intervento chirurgico), che dovrà, però, specificare la durata del trattamento e le ragioni allo stesso sottese.
La detenzione a catena è una modalità obsoleta e primitiva di detenzione dell’animale, privativa della libertà di movimento dello stesso ed idonea in molti casi a configurare l’ipotesi di reato di maltrattamento di cui all’art. 544 ter cp, tra cui anche quello che si concreta nell’isolamento sociale degli animali. Non è raro, infatti, leggere di cani relegati perennemente in giardini o terreni con una catena al collo, soli e senza riparo, quado non anche di animali rinvenuti con corde e catene divenuti parte integranti della carne del collo, chiaro segno di una vita intera trascorsa con un laccio al collo, che l’aguzzino (e termine più idoneo non si rinviene) non ha neanche avuto la…cura di sostituire negli anni. Una vergogna che si auspica possa finalmente cessare anche nel Lazio.
Con una nota sentenza del 2018 la Corte di Cassazione ribadiva come tenere gli animali in catene fosse incompatibile con la loro natura e provocasse gravi sofferenze fisiche e psicologiche. Gli Ermellini specificavano altresì come “l’uso delle catene è consentito in via eccezionale” e per “provvedere ad esigenze di cura sanitaria e di benessere dell’animale, oltre che di sicurezza degli operatori e, comunque, per il solo periodo nel quale a tali incombenze si debba procedere”. Già nel 2011 il Supremo Collegio aveva confermato una sentenza di condanna del Tribunale emessa nei confronti di soggetto che deteneva tre cani a catena che aveva anche provocato agli stessi lesioni al collo e che non era necessaria. La condotta del condannato era, quindi, connotata inter alia dalla crudeltà e senza alcuno stato di necessità.
Il Lazio, in piena conformità al filone giurisprudenziale sopra richiamato ed ascoltando le richieste in tal senso da anni avanzate dalle Associazioni Animaliste, ha quindi spezzato ogni catena. Non possiamo avere la certezza che il divieto verrà rispettato da tutti ed è quindi necessario non abbassare mai la guardia e denunciare ogni eventuale abuso alle competenti Autorità: Carabinieri, Polizia, Polizia Locale, Guardie Zoofile. E’ solo grazie alle segnalazioni e denunce di associazioni e privati cittadini che molti animali detenuti in condizioni inidonee sono stati salvati da morte certa: uno degli ultimi casi seguiti da chi scrive è stato proprio quello relativo ad un cane di 15 anni, da sempre detenuto a catena, salvo proprio grazie all’intervento di un’associazione eseguito a seguito di una segnalazione. In assenza di una normativa uniforme a livello nazionale è preciso compito delle Regioni e delle Amministrazioni Locali dettare normative affinché gli animali d’affezione ( e non solo) vengano detenuti in modo idoneo e compatibile con il loro benessere e non siano più vittime dell’ incuria (dis) umana.
Giada Bernardi, avvocatessa