Il mio grido per Lilly
Queste sono le storie che non vorrei mai scrivere. Storie senza lieto fine. Storie scritte dall’ indifferenza e dalla crudeltà verso creature indifese.
In questa torrida estate, dove la ragione degli uomini sembra essersi eclissata dietro false ideologie e violenze gratuite, mentre i telegiornali sono pieni di attentati e morti, ci sono anche queste storie, storie di vittime silenziose di cui nessuno parla, se non noi volontari, con il cuore gonfio di pianto. Le immagini, crude e difficili da dimenticare di questi animali, dei loro martìri, contrastano con il silenzio nel quale scivolano le loro scomparse, lasciando nell’oblio anche coloro che si sono macchiati le mani di sangue innocente.
Noi dobbiamo essere la loro voce, noi che abbiamo l’obbligo etico di urlare per tutti coloro che sono morti senza neanche un lamento. Come Angelo, un bellissimo meticcio, ucciso dopo essere stato brutalmente torturato da quattro ragazzi, per i quali mi riesce difficile trovare una definizione che non sia offensiva. Belve umane che sfogano le loro frustrazioni e il loro disagio su questi angeli, filmando anche le loro orribili gesta, chissà per quale patologico motivo. Mezza Italia ha urlato lo strazio di Angelo, perché almeno i suoi assassini abbiano la giusta pena, perché mai più nessun Angelo venga ucciso in quel modo. Quanti Angelo vengono brutalmente uccisi ogni giorno? Quanti animali senza neanche un nome diventano quotidianamente lo sfogo di persone frustrate e cattive?
Eppure il maltrattamento di animali, in diritto penale, è un reato previsto dall’art. 544-ter del codice penale ai sensi del quale: ” Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da 3 mesi a 18 mesi o con la multa da 5.000 euro a 30.000 euro. La pena è aumentata della metà se dai fatti cui al primo comma deriva la morte dell’animale.” Ma non basta, ci vogliono pene certe e persone decise a denunciare, che non si girino dall’altra parte dicendo: “tanto è solo un cane!”
Come è successo a te, Lilly. Piccola e dolce cucciola meticcia adottata a Catania da una famiglia che troppo presto si è stancata di te. Con le solite scuse che abbiamo sentito miliardi di volte da tutti quelli che cercano sconti per la loro coscienza anche se sanno di essere indifendibili. A qualcuno in quella famiglia hai cominciato a dare fastidio, forse perché abbaiavi, o perché perdevi i peli o forse per la tua esuberanza tipica dei cuccioli. Qualcuno che evidentemente pensava di prendere in casa un pupazzetto di peluche, senza personalità, senza esigenze, senza un cuore. “Abbiamo una casa troppo piccola e a malincuore dobbiamo rinunciare a lei” . Queste parole scritte dalla tua proprietaria, una donna, una mamma, in un annuncio nel quale cercavano una nuova famiglia.
“Tenerissima e coccolona di appena 11 mesi”. Cosi ti definiva quella donna, alla quale tu scodinzolavi fiduciosa e che guardavi con amore. Quella donna che se solo avesse guardato i tuoi occhi di cucciola, occhi grandissimi e pieni di tanto amore da dare, come si guarda un essere senziente, che soffre e ama come noi, se solo avesse avuto compassione per te, povera creatura che chiedeva solo un pò d’amore e di vivere la sua esistenza appena iniziata, avrebbe salvato la tua vita e insieme la sua anima, ora persa per sempre.
Ma non l’ha fatto e non c’è stato nessuno in quella famiglia a provare pietà per te Lilly, nessuno che ti volesse un briciolo di bene, nessuno che provasse rispetto e che si fosse affezionato a quel piccolo esserino che avevano adottato e portato nella loro casa.
Dalla stessa casa, divenuta improvvisamente troppo piccola per te, dove ormai eri solo un fastidio, i tuoi proprietari ti hanno portata nello squallido cortile sottostante l’appartamento, ti hanno legata con una catena più pesante di te e se ne sono andati lasciandoti lì, senza una cuccia, senza nessun riparo, senza neanche una ciotola d’acqua che invece ti veniva portata insieme al cibo quando se ne ricordavano.
Mi sembra di sentire il tuo pianto piccola Lilly. Il pianto sommesso dei cuccioli, che cercano la loro mamma, che cercano la vicinanza con le persone della famiglia che li ha accolti, che cercano amore. Ed è lo stesso pianto dei bambini che soffrono per la fame e per la guerra, di tutte le creature innocenti che soffrono per la mano crudele dell’uomo. Questo pianto è la sconfitta dell’umanità.
Lilly, povera piccola, perché nessuno ha avuto compassione per te? Non solo la tua famiglia, ma neanche tutti coloro che abitavano in quel palazzo. Nessuno si è mosso, nessuno ti ha aiutato!
Eppure a Catania, come in ogni altro comune d’Italia, c’è il regolamento comunale a tutela degli animali del 18 novembre 2009. L’art. 10 che si occupa del maltrattamento degli animali, nel comma 3 specifica che: “E’ vietato tenere gli animali in spazi angusti, privarli dell’acqua e del cibo necessario o sottoporli a temperature climatiche tali da nuocere alla loro salute”
Il comma 5 invece recita: “I cani tenuti a catena devono sempre poter raggiungere il riparo, la cuccia e i contenitori dell’acqua e del cibo.” Regolamento ignorato da tutti. E tu, donna, madre, che hai adottato questa creatura tenendola in braccio come si tiene un figlio, come fai a non provare disgusto per te stessa, come fai a guardare gli occhi dei tuoi figli senza vederci dentro quelli di Lilly?
Lilly tu sei rimasta in quel cortile per giorni interminabili e per notti spaventose, dove ogni rumore ti svegliava e ti faceva paura. Sempre legata, sempre da sola. Il caldo a Catania diventava ogni giorno più soffocante, si sfioravano i 40 °C nelle ore centrali della giornata. E tu lì. In quel cortile, sotto il sole, senza riparo, senza acqua, senza che la mano pietosa di nessuno si sia mossa per spezzare quella maledetta catena, per liberarti e renderti di nuovo alla vita che meritavi di vivere. Stremata dal caldo e dagli stenti di una vita senza più senso, nel torrido caldo di un pomeriggio d’estate, quando anche le cicale smettono di cantare, ti sei arresa senza un grido perché sapevi che nessuno l’avrebbe ascoltato, solo un lieve sospiro e te ne sei andata via, Lilly.
Cosi è morta in silenzio, uno scricciolo di undici mesi, legata da sola in un cortile di Catania, uccisa dal sole cocente e dall’indifferenza di tutti coloro che hanno fatto finta di non vedere, che si sono girati dall’altra parte. Si è arresa senza un lamento Lilly, si è arresa alla solitudine, ad una vita di stenti e senza amore.
Ho i tuoi occhi impressi nel cuore, a farmi male e altro non posso fare che prometterti che sarò io a gridare per te, sarò io la tua voce, sempre, finchè avrò vita, per scuotere le coscienze, perchè nessuna creatura debba mai più morire da sola, senza un lamento, legata ad una catena. Io grido per te Lilly!
Raffaella Cuomo, volontaria