L’AVVOCATO RISPONDE – E se la coppia… si scoppia, a chi va l’affidamento dei nostri amici animali?
Nuovo appuntamento con la rubrica di Tesori a quattro zampe L’AVVOCATO RISPONDE, a cura dell’avvocatessa Giada Bernardi. Oggi parliamo della gestione dei nostri amici a quattro zampe quando la coppia amorosa si scoppia. Se vero è che il nostro ordinamento presenta ancora un vuoto normativo rispetto alla gestione degli animali d’affezione in caso di separazione delle coppie, altrettanto vero è che ormai da anni i Tribunali italiani hanno preso contezza della necessità di statuire sul punto, soprattutto alla luce del contenzioso che sempre più spesso ha ad oggetto, inter alia, la richiesta di provvedimenti in ordine all’affidamento dell’animale domestico, la cui disciplina è assimilabile a quella in vigore per i figli proprio in considerazione dell’importanza che ha il vincolo affettivo tra uomo ed animale domestico.
A seguito della progressiva compatibilizzazione tra il concetto di animale e quello di famiglia, quest’ultima include oggi (e ci sia concesso, finalmente) anche gli animali, come anche ritenuto dal Tribunale di Pavia che con una sentenza del 2016 ha statuito come “…nella realtà sociale è negli ultimi tempi emerso un interesse particolare nei confronti degli animali di affezione, che ormai nell’evoluzione del costume sono visti come integranti nell’ambito familiare e parte del contesto affettivo…”
Risale al 1996 la prima sentenza che ha riconosciuto giuridicamente rilevante il valore affettivo del rapporto uomo-animale e con cui il Tribunale di Varese consentiva ad un cane di usufruire del medesimo meccanismo giuridico per il permesso di visita ad un detenuto di cui usufruiscono i minori. Al cane, che era deperito fisicamente a causa della sofferenza psicologica che provava nell’essere allontanato dal suo padrone, incarcerato, il Giudice, riconoscendo rilevante giuridicamente la sua sofferenza, ha consentito il permesso di visita perché potesse andare a trovare il padrone in carcere. E molti, come detto, sono i Tribunali che da anni hanno incominciato a dare rilevanza, tutela e valore al vincolo affettivo che sussiste tra uomo ed animale domestico.
Il Tribunale di Roma ha statuito “Non esiste nel nostro ordinamento una norma che disciplini l’affidamento di un animale domestico in caso di separazione dei coniugi o dei conviventi, benché, attualmente, siano sempre più frequenti le cause in cui coniugi o conviventi si rivolgono al giudice per l’affidamento di un animale. Il criterio seguito in talune pronunce emesse in tal senso è stato esclusivamente quello materiale-spirituale-affettivo dell’animale, in analogia alla disciplina riservata ai figli minori.” Sulla stessa linea di indirizzo i Tribunali di Foggia e di Cremona i quali hanno sancito che, in assenza di normativa specifica, potessero trovare applicazione le disposizioni previste in tema di affido di figli minori.
In punto di affido condiviso dell’animale domestico il Giudice Capitolino nella parte motiva della sopra richiamata sentenza osservava e disponeva :
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”Nell’ambito di un giudizio restitutorio, il Tribunale può disporre l’affido condiviso del cane, ancorché di proprietà di uno solo dei due conviventi che ne reclamano il possesso esclusivo. In assenza di una disciplina normativa ad hoc, infatti, all’animale di affezione è applicabile analogicamente la normativa prevista per i figli minori, cosicché il Giudice deve assumere i provvedimenti che lo riguardano tenendo conto esclusivamente dell’interesse materiale – spirituale – affettivo dell’animale. Detta disciplina si applica anche qualora i due “padroni” della bestiola non siano legati da vincolo di coniugio, giacché il legame e l’affetto del cane per ciascuno di loro è indipendente dal regime giuridico che li legava.
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In caso di separazione di coniugi o conviventi, nell’interesse del cane e in quello affettivo di entrambe le parti, all’affidamento degli animali d’affezione è applicabile la disciplina dell’affidamento condiviso che può essere disposto a prescindere dallo status delle parti.
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Il giudice, in caso di contrasto sulla titolarità di un cane, insorto tra persone già conviventi che per il passato se ne sono prese cura, può disporne l’affido condiviso, in applicazione analogica della disciplina in tema di affidamento dei figli minori, adottando altresì le statuizioni consequenziali in tema di collocamento, diritto di visita, mantenimento (nella specie, il cane era conteso da due ex conviventi, ciascuno dei quali assumeva di esserne il proprietario; il tribunale ne ha disposto il collocamento per sei mesi consecutivi presso ciascuna parte).
Ancora, il Tribunale di Sciacca, decidendo nell’ambito di un giudizio di separazione, statuiva “Alla luce della necessaria protezione del sentimento di affezione per un animale come un gatto, quale valore meritevole di tutela, e tenuto conto altresì della necessità di assicurare il benessere e il miglior sviluppo della sua identità, si deve disporre l’assegnazione esclusiva di esso al coniuge che appare maggiormente in grado di far fronte a tali esigenze. Non ravvisandosi ragioni particolari che orientino in senso diverso, deve invece disporsi l’assegnazione condivisa, con collocazione alternata presso ciascuno dei coniugi, del cane, indipendentemente dall’eventuale intestazione risultante dal microchip.”
Nel caso de quo il Tribunale, e correttamente a parere di chi scrive, non riteneva prioritaria ai fini della miglior collocazione del figlio peloso la titolarità del microchip ai fini dell’affido condiviso.
Di identico parere è stato il del Presidente del Tribunale di Foggia il quale ha affidato il cane ad un coniuge indipendentemente dalla intestazione formale. Il giudicante, nel caso di specie, ha infatti ritenuto che quasi sempre ai cani viene assegnato un microchip con il nome del padrone, ma, non essendo il cane un bene mobile registrato, può aver sviluppato una relazione affettiva con altro soggetto (in questo caso l’altro coniuge). Nella fattispecie il Giudice ha quindi privilegiato l’interesse materiale e affettivo dell’animale, affidando lo stesso al coniuge che, secondo una sommaria istruttoria, era risultato essere quello che maggiormente assicurava il miglior sviluppo possibile dell’identità dell’animale. Ogni deduzione avversaria in punto di titolarità dei cani ed appartenenza degli stessi al soggetto intestatario dei microchip risulta essere, alla luce della pronuncia appena richiamata, destituita di rilevanza.
Il Tribunale di Como, con una sentenza del 2016, ha omologato l’accordo di separazione consensuale con il quale i due coniugi avevano deciso le sorti dell’animale domestico ed il Tribunale di Varese nel 2011 ha sancito che “deve oggi ritenersi che il sentimento per gli animali costituisca un valore e un interesse a copertura costituzionale e per questo deve essere riconosciuto un vero e proprio diritto soggettivo all’animale da compagnia e, quindi, a mantenere la relazione con il proprio cane o gatto.” Principio quest’ultimo che ha ispirato diversi provvedimenti adottati in casi di separazione dei coniugi in cui è stata decisa la sorte dell’animale d’affezione e che ha consentito di superare il concetto dell’animale come puro bene patrimoniale e di usare come criterio per l’affidamento il legame affettivo instauratosi tra l’animale stesso e i diversi membri della famiglia. Già nel 2007, trattando un caso di maltrattamento, la Cassazione Penale con sentenza del 2007 ha affermato che chiunque abbia la gestione e il controllo dell’animale deve “comportarsi con la stessa diligenza e attenzione che normalmente si usano verso un minore”, tenendo conto delle sue esigenze di protezione e del suo interesse a non soffrire e come il Supremo Collegio, abbiano specificato come “il maltrattamento non sia da considerarsi solo in senso fisico, ma anche psichico, in quanto la legge vuole “tutelare gli animali quali esseri viventi capaci di percepire con dolore comportamenti non ispirati a simpatia, compassione ed umanità”.
Giada Bernardi, avvocatessa